Il soggiorno di Pasolini a La Cittadella di Assisi, nel 1962, generò in lui l’idea di realizzare il film “Il Vangelo secondo Matteo”. Da quell’evento prende forma il progetto IL SACRO LAICO e sviluppa un percorso nell’emblematico e affascinante pensiero pasoliniano attraverso spazi riflessivi, retrospettive, performance e concerti.
SACRO LAICO • spazio riflessivo
Venerdi 2 Giugno, 16.00
La Cittadella • Sala auditorium
Interventi di:
Maurizio Maggiani • Memoria: viva e vitale
Stefania Del Bravo • Introduzione
Giovanni Ricci • Il significato delle parole. Intervento inedito di Pasolini dall’archivio della Pro Civitate Christiana
Marco Vanelli • Pasolini e don Milani: pedagoghi controcorrente
Giovanni Ricci e Marco Vanelli presentano il nuovo numero di «Cabiria. Studi di cinema» la cui parte monografica è dedicata a Pier Paolo Pasolini e in particolare a due interventi inediti che il poeta tenne ad Assisi durante convegni del 1964 e del 1968, ritrovati presso l’archivio della Pro Civitate Christiana. Parleranno inoltre del rapporto tra Pasolini e don Lorenzo Milani, la cui esperienza pastorale e didattica aveva interessato molto il poeta. Il priore di Barbiana, a sua volta, aveva dimostrato attenzione al film Il Vangelo secondo Matteo che fu proiettato e discusso con i suoi studenti. Al termine del convegno sarà proiettato il film su Don Milani di Ivan Angeli del 1976, nel quale compaiono nella parte di se stessi anche Giorgio La Pira e padre Ernesto Balducci.
E COME PIANTE SENZA RADICE • spazio riflessivo
Sabato 3 Giugno, 9.30
La Cittadella • Sala auditorium
Interventi di:
Francesca Tuscano, ore 9.30 • La poesia per educarsi
Paolo Vittoria, ore 11.00 • La pedagogia degli oppressi a confronto
Cesare Moreno, ore 16.00 • La scuola fuori
Paolo Berdini, ore 17.00 • La scuola 725 di don Roberto Sardelli
“PasolinAssisi 2023 – e come piante senza radice” prende le mosse dalle provocazioni e dalle denunce con cui Pier Paolo Pasolini e don Lorenzo Milani hanno messo a nudo le storture del sistema educativo. Nella Lettera a una professoressa Don Milani, insieme ai suoi ragazzi, scriverà: “La scuola che perde i ragazzi più difficili è una scuola che cura i sani e respinge i malati”. Il loro sguardo – lucido e disincantato – verso la scuola era un grido d’allarme che partiva dall’ultimo banco, anzi da chi non aveva mai avuto il diritto ad un banco. Cosa ci insegna oggi la pedagogia pasoliniana? Come ha inciso la prassi educativa realizzata da don Milani? Quali i punti di incontro tra i due mondi di Pasolini e Milani? Dove e come i loro sguardi hanno incrociato e visto le stesse ipocrisie di quel diritto proclamato e negato allo stesso momento? E come piante senza radice è il verso di una poesia di Pasolini che rappresenta questo tempo in cui si crede che basti fornire solo alcuni saperi, offrire informazione senza formazione. Abbiamo chiesto ad alcuni “maestri” di guardare oggi alla scuola e ai sistemi educativi. Quelle denunce sono servite a pensare e fare una scuola diversa? Dobbiamo prenderci cura della memoria personale e altrui, affinché non diventi simulacro, monumento, ma sia viva e vitale.
IMPROVVISAZIONE E MEDITAZIONE • concerto / performance multidisciplinare
Sabato 3 Giugno, 21.00
La Cittadella • Spazio esterno Anfiteatro
Con Giovanni Floreani, Cristina Spadotto, Paolo Tofani Krsna Prema Das.
Introduzione di Saveria Savidya Shukantala.
Un’esperienza unica, a cavallo tra concerto, performance e poesia. Sul palco musicisti, attori, narratori e performer danno vita alla circolarità dell’esistenza umana assaporando il fascino di un labile confine tra il mondo reale e quello virtuale. Gioie, dolori, entusiasmi… La vita scorre in un viaggio alla scoperta del sé.
MIA PATRIA SONO GLI OPPRESSI
Domenica 4 Giugno, 9.30
La Cittadella • Sala auditorium
Intervento di Vanessa Roghi
TUROLDO, PASOLINI, MILANI • spazio riflessivo
Domenica 4 Giugno, 11.00
La Cittadella • Spazio esterno Anfiteatro
L’essenza del pensiero, letture nel silenzio della riflessione
Fontana di aga dal me paìs. A no è aga pì fres-cia che tal me paìs. Fontana di rustic amòur
Fontana d’acqua del mio paese. Non c’è acqua più fresca che nel mio paese. Fontana di rustico amore.
P. Pa. Pasolini, La nuova gioventù: Poesie friulane (1941-1974)
Evento a cura dell’associazione culturale Furclap.
Con la partnership di: Pro Civitate Christiana, Centro studi Turoldo Coderno, Associazione Teatro del Silenzio, Istituto Italiano di Cultura di Zagabria, Cinit, Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea.
Ideazione e direzione artistica: Giovanni Floreani
Consulenza storica e letteraria: Giovanni Ricci e Marco Vanelli
Co-progettazione: Stefania Del Bravo
Si ringrazia per la collaborazione: Università degli studi di Udine, Comune di Udine – assessorato Cultura, Museo Etnografico del Friuli Udine, Casa della Contadinanza Udine, Educaforum APS Udine, Consorzio di Cooperative “Il Mosaico” Gorizia, Associazione culturale FARE Udine, Associazione culturale Espressione Est Udine, Ka’ di Mariute Coderno di Sedegliano (Ud), Koncertni ured Zadar (Hr), Biblioteca casanatense Roma.
IL SACRO LAICO IN Pier Paolo Pasolini, don Lorenzo Milani e padre David Maria Turoldo
di Stefania Del Bravo
Nella società italiana del secondo dopoguerra, nel momento in cui il benessere economico e il consumismo di massa stavano prendendo il sopravvento e la civiltà contadina – dominante fino a pochi anni prima – veniva spinta ai margini e guardata quasi con disprezzo, le tre personalità in questione rappresentano un potente e radicale “controcanto”, con la loro azione di difesa degli “ultimi” e di recupero di quei valori di purezza non inquinata dall’etica perbenista e ipocrita della piccola borghesia emergente. In questo sta, con varie sfumature e declinazioni, la loro ricerca del “sacro” come valore premorale, quasi epico dell’esistenza soprattutto di chi, come gli strati sociali più poveri, è al di fuori di una coscienza storica ma che alla fine accomuna credenti e non credenti, fede e scienza e si traduce nel desiderio di giustizia, di fratellanza solidale, un anelito alla bellezza e all’amore.
In questo senso, nonostante la diversissima estrazione sociale e le modalità in cui Pasolini, don Milani e padre Turoldo espressero la loro critica veemente verso la “non cultura“ istituzionalizzata ed esercitarono un impegno concreto, non è difficile trovare un filo che accomuna il loro pensiero. Tre personaggi scomodi e ingombranti, intransigenti e non etichettabili come i veri liberi pensatori, che lo Stato e il mondo cattolico hanno cercato in tutti modi prima di emarginare, poi di “addomesticare” attraverso una maldestra strumentalizzazione ma senza mai riuscire a “venire a patti” con la loro radicale, limpida coerenza. Due di loro – Pasolini e Turoldo – figli di quel Friuli umile, pieno di ritegno e operosa dignità a cui rimasero legatissimi e al quale dedicarono poesie piene di tenerezza. Nato nel 1916 in una numerosa famiglia contadina Turoldo (nono di dieci figli) che lasciò a 13 anni per entrare nell’ordine dei Servi di Maria, appartenente invece a una famiglia borghese Pasolini (il padre era ufficiale di fanteria), nato nel 1922 a Bologna ma cresciuto in Friuli che ha sempre riconosciuto come la sua terra madre. Toscano di Firenze, invece, don Milani, quasi coetaneo di Pasolini (nasce nel 1923) , rampollo di una famiglia dell’alta borghesia – la madre Alice Weiss, ebrea di origine triestina, era stata allieva di James Joyce, il padre, dichiaratamente agnostico, era cugino del grande filologo e senatore del Regno Domenico Comparetti. La svolta della sua vita avviene presto, una rinuncia quasi francescana agli agi e alla vita confortevole che lo status familiare gli assicurava, per mettersi al servizio degli “ultimi”, degli emarginati e dare loro voce attraverso l’apprendimento scolastico: ma con programmi e metodi completamente diversi da quelli imposti dalla scuola istituzionale.
Tutti accomunati dall’amore per l ’arte e la letteratura: Pasolini, dopo gli studi classici, aveva seguito le lezioni del grande critico d’arte Roberto Longhi e nei suoi film si trovano spesso chiare citazioni pittoriche – basti pensare al “tableau vivant” della “deposizione dalla croce” di Rosso fiorentino nel film “La ricotta”. Don Milani, dopo il diploma al liceo “Berchet” di Milano dove la famiglia si era temporaneamente trasferita, aveva frequentato in gioventù lo studio del pittore Hans Joachim Staude a Firenze e successivamente si era iscritto al corso di pittura dell’Accademia di Brera a Milano. Numerosissimi gli scritti, in prosa e in versi, che David Maria Turoldo ci ha lasciato (tra i molti le raccolte poetiche “Io non ho le mani” e “Canti ultimi” e i saggi “Anche Dio è infelice” e “Il sapore del pane”) a testimonianza della sua passione per la ricerca di una fede autentica e per il contrasto dialettico che lo mise spesso in rotta con le Istituzioni ecclesiastiche. Per tutti loro la centralità della parola, intesa come strumento che rende capaci di esprimere chiaramente il proprio pensiero, è stata fondamentale. Pasolini fu amatissimo professore nelle scuole di Valvasone e Casarsa, la vicenda di Don Milani si incentra sull’esperienza rivoluzionaria di Barbiana ed è nota la sua frase “un operaio conosce 100 parole, il padrone 1000. Per questo lui è il padrone”, Turoldo fu tra i principali sostenitori della comunità di Nomadelfia, fondata da Don Zeno Saltini negli anni trenta nell’area dell’ex campo di concentramento di Fossoli, in provincia di Modena, per accogliere gli orfani di guerra e bambini abbandonati e dar loro un’istruzione seguendo i precetti evangelici.
Pasolini e Lorenzo Milani non ebbero mai l’occasione di conoscersi personalmente, anche per la morte precoce di don Milani stesso, ma forti furono i contatti e gli apprezzamenti, anche critici, sulla loro attività. Restano fondamentali a questo proposito gli interventi di Pasolini sul libro “Lettera a una professoressa” scritto collettivamente dagli studenti di Barbiana. Lo stretto legame tra Pasolini e Turoldo trova la sua espressione più alta nell’orazione funebre di quest’ultimo ai funerali dello scrittore che si tennero a Casarsa il 6 novembre 1975 e alla lettera, coraggiosa e commovente, in cui Turoldo si rivolge alla madre di Pasolini, Susanna Colussi, straziata dal dolore. Qui le parole colpiscono come pietre e sembra infrangersi, di fronte a tanta assurda violenza, il senso della sacralità della vita, così pervicacemente difeso e perseguito. Unica ancora di salvezza l’umile terra friulana, così sola e antica, silenziosa e gentile. Eccone alcune righe: “C’è troppa violenza a Roma. Non c’è un fiore più che sbocci in questa periferia romana e non un alito di vento che ne spanda il profumo; non un fanciullo con la faccia pura; non un prete che preghi… ….Mamma, vorrei dirti di tornare a casa, di lasciare questa maledetta capitale; di fuggirtene anche a piedi, vestita di nero come sei arrivata, col fazzoletto nero annodato al collo, con la lunga sottana nera, come tutte le donne antiche del nostro Friuli antico, simili a Madonne sul Calvario. Torna come una pellegrina a ritroso, verso paesi certo più miti e più cristiani.”
La lettera si chiude quasi con un’invettiva contro l’ipocrisia morale di chi ha riempito le pagine dei giornali dopo la morte di Pasolini “l’orgia di inchiostro di tutti i colori…il livore e la bava della gente “più pura”…ma forse la ragione è proprio questa: che è un uomo di religione, non un uomo di fede, non uomo di vangelo. Come la mettiamo in questo caso? Perché pare che la moltitudine dei “praticanti” sia scatenata”.