Il pensiero di Pasolini, Turoldo e don Milani (da Sacro Laico – Coderno 29 luglio 2023)

PASOLINI

(da “Tempo”, 11gennaio 1974 – poi in Scritti corsari, Garzanti, 1975)

Ormai da molto tempo andavo ripetendo di provare una grande nostalgia per la povertà, mia e altrui, e che ci eravamo sbagliati a credere che la povertà fosse un male…

Quando il dolore di vedermi circondato da una gente che non riconoscevo più — da una gioventù resa infelice, nevrotica, afasica, ottusa e presuntuosa dalle mille lire di più che il benessere gli aveva improvvisamente infilato in saccoccia — ecco che è arrivata l’austerità, o la povertà obbligatoria…

Ma, come «segno premonitore» del ritorno di una povertà reale, essa non può che rallegrarmi… 

Dico povertà, non miseria. Son pronto a qualsiasi sacrificio personale, naturalmente. A compensarmi, basterà che sulla faccia della gente torni l’antico modo di sorridere; l’antico rispetto per gli altri che era rispetto per se stessi; la fierezza di essere ciò che la propria cultura « povera » insegnava a essere. Allora si potrà forse ricominciare tutto da capo…

Sto farneticando, lo so…

Il popolo è sempre sostanzialmente libero e ricco: può essere messo in catene, spogliato, aver la bocca tappata, ma è sostanzialmente libero; gli si può togliere il lavoro, il passaporto, il tavolo dove mangia, ma è sostanzialmente ricco. Perché? 

Perché chi possiede una propria cultura e si esprime attraverso essa è libero e ricco, anche se ciò che egli è e esprime è (rispetto alla classe che lo domina) mancanza di libertà e miseria. 

DON MILANI

Non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali.

La povertà dei poveri non si misura a pane, a casa, a caldo. Si misura sul grado di cultura e sulla funzione sociale. La distinzione in classi sociali non si può dunque fare sull’imponibile catastale, ma su valori culturali.

Spesso gli amici mi chiedono come faccio a far scuola. Sbagliano la domanda, non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare scuola, ma solo di come bisogna essere per poter fare scuola. 

…Se si perdono i ragazzi più difficili la scuola non è più scuola. É un ospedale che cura i sani e respinge i malati.

…Quando avete buttato nel mondo d’oggi un ragazzo senza istruzione avete buttato in cielo un passerotto senza ali. 

… Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani… per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio… che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto.

DAVIDE MARIA TUROLDO

E non chiedere nulla

Ora invece la terra
si fa sempre più orrenda:
il tempo è malato
i fanciulli non giocano più
le ragazze non hanno
più occhi
che splendono a sera.

E anche gli amori
non si cantano più,
le speranze non hanno più voce,
i morti doppiamente morti
al freddo di queste liturgie:
ognuno torna alla sua casa
sempre più solo.

Tempo è di tornare poveri
per ritrovare il sapore del pane,
per reggere alla luce del sole
per varcare sereni la notte
e cantare la sete della cerva.

E la gente, l’umile gente
abbia ancora chi l’ascolta,
e trovino udienza le preghiere.
E non chiedere nulla.

da “Io non ho mani” 1948 

E’ la memoria una distesa di campi assopiti
E i ricordi in essa chiomati di nebbia e di sole
Respira una pianura rotta solo dagli uguali ciuffi di sterpi:
In essa unico albero verde
La mia serenità

da Profezia della povertà

«Cristo, fondatore della Chiesa, figlio di Dio e figlio dell’uomo, è veramente sempre nato in periferia e viene sempre ucciso in prefettura. Egli è il noúmeno della storia, il protagonista del dramma umano, portato a soluzione. 

Affrontare il problema della chiesa e dei poveri significa perciò affrontare la drammaticità stessa dell’esistenza

Il cristianesimo è risoluzione della tragedia, in quanto Cristo sconta in sé il contrasto, altrimenti irreparabile, tra infelicità e ragione di esistere, pagando di persona»

…Ho scritto un giorno: ’Beati coloro che hanno fame e sete di
opposizione’; oggi aggiungerei: ’Beato colui che sa resistere’…

da Io non ero un fanciullo

…Anche il mio corpo odorava e di vento e di sole, forte e assuefatto a tutte le intemperie… Anche le scuole, o bene o male, eran finite; e io dovevo decidermi. La nostra condizione, per fortuna non ci dava scampo. Bisognava scegliere. Mio padre era inesorabile. La fame, nel ventotto, ventinove, trenta, tiranneggiava nella nostra casa. Di ritorno dalla scuola o dai pascoli, io non so dire la muta invidia che provavo per i compagni, i quali tiravano fuori dalle loro cartelle…quelle fette di pane bianco e di formaggio e di salame. Il profumo mi pungeva le narici come ai cavalli l’odore dell’avena…Io li guardavo con occhi ubriachi e la saliva aumentava fino all’orlo delle labbra, allora sempre semiaperte per lo stupore…

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